giovedì 15 dicembre 2016

Guida Autonoma: a tu per tu con Brian Cooley, editor at large di CNET

La mobilità del futuro sta prendendo forma attraverso le tecnologie di guida autonoma. La nuova fase nella storia dei trasporti presenta però alcuni interrogativi su come promuovere l’adozione di tali sistemi da parte dei clienti e conquistare la fiducia degli automobilisti e, più in generale, della società.
La prima serie di storie pubblicata su DRIVE ha svelato il dietro le quinte delle tecnologie di guida autonoma raccontando l’esperienza di chi se ne occupa in prima persona – da Melissa Cefkin, antropologa e ricercatrice capo presso il centro di ricerca Nissan nella Silicon Valley, impegnata nello studio dell’interazione fra esseri umani e auto, a Tetsuya Iijima, General Manager della divisione Autonomous Drive Technology Development di Nissan Motor Co., Ltd. in Giappone.

 Per approfondire ulteriormente l’opinione degli altri interlocutori di questo dibattito, abbiamo chiesto il parere di Brian Cooley, Editor-at-large di CNET, esperto di tecnologie e recensore automobilistico. In un’esclusiva intervista in due parti, Cooley ci racconta il suo punto di vista sui veicoli a guida autonoma, spiegando perché è così importante che la società accetti la diffusione su larga scala di questi sistemi e le potenziali implicazioni che ne derivano.

D: L’era della guida autonoma è destinata a segnare una svolta nella storia della mobilità del futuro. Quanto è importante alimentare la fiducia dei consumatori?
La fiducia dei consumatori avrà un’importanza senza precedenti. Una tecnologia così non si era mai vista finora: se uno smartphone o un computer rudimentale non funzionano, non muore nessuno. Ma questo mercato è diverso: la portata di una tale rivoluzione e i rischi sono notevoli, se ne rendono conto anche i clienti. Il primo pensiero è: “Se qualcuno si fa male?” e quello immediatamente successivo sono i costi e il valore effettivo della tecnologia.

D: Quindi secondo lei quali saranno i due o tre elementi fondamentali per ottenere l’approvazione della società e la fiducia dei clienti?
I clienti insistono in particolare su tre grandi punti. Il primo è: “Sono bravo al volante e questa tecnologia non mi serve”, chi di noi non ha mai pensato di essere perfetto e che il problema siano gli altri? Però le 35.000 vittime registrate ogni anno sulle strade degli Stati Uniti dimostrano che ancora oggi non abbiamo trovato soluzioni valide per contenere questa cifra. Quindi il primo mito da sfatare è che forse non siamo così bravi come pensiamo.

Il secondo ostacolo invece è: “Non mi fido dei computer”. I clienti sono convinti che tutti i computer siano uguali e che il cruscotto del futuro sarà dotato di un elaboratore qualsiasi, Mac o Windows, con tutti i bug tipici dell’informatica low-cost. È possibile rassicurare gli scettici anche da questo punto di vista: come i sistemi di pilota automatico a bordo degli AirBus o dei Boeing, anche i computer dei veicoli a guida autonoma sono progettati espressamente per questo scopo.

Il terzo è quello più difficile, l’associazione della tecnologia a una situazione di “debolezza”. Nella vita ci sono solo due casi in cui si viene autorizzati a guidare: quando si è troppo giovani – e i genitori non vogliono – e quando si raggiunge una certa età – e i figli non vogliono. In entrambi i casi, a risentirne sono l’identità, l’autostima e la facoltà di compiere una scelta. Questo bagaglio emotivo è pesante e continua a farsi sentire.

D: Quanto ci vorrà prima di raggiungere l’obiettivo?
È difficile al momento prevedere in che direzione andrà la fiducia dei clienti, perché ci sono pochissimi veicoli autonomi in circolazione, figuriamoci quelli completamente autonomi. Non possiamo ancora mettere alla prova i consumatori e chiedere il loro parere, perché non hanno abbastanza esperienza o punti di riferimento. Non posso ipotizzare quanto tempo ci vorrà, ma di sicuro non sono d’accordo con le stime dei catastrofisti, che mettono in conto interi decenni.

Le aziende impegnate nei primi test sui veicoli a guida autonoma sono sorprese dalla rapidità con cui il cliente medio prende confidenza con l’auto. A volte i tempi sono strettissimi: nel giro di un’ora passa dalla tensione al relax più totale, arrivando a leggersi un libro o a riposarsi durante il viaggio. Tutto sommato, abbiamo le prove che potrebbe non essere poi così complicato risalire la china.

D: Il pubblico sta cominciando a entrare nel merito delle specificità della guida autonoma. In che misura questo approccio graduale può fare la differenza?
La maggior parte di noi guida veicoli che hanno già sistemi automatici di assistenza alla guida, anche se non sembra: le tecnologie di parcheggio assistito o l’Adaptive Cruise Control non sono poi così rari, e i sistemi in grado di vibrare o di correggere la traiettoria in caso di sbandamenti spesso sono presenti persino sulle auto a noleggio. Tutte queste soluzioni messe insieme daranno vita alla guida autonoma del futuro. Il processo di accettazione dei singoli moduli è già in atto e un giorno porterà all’accettazione dell’intero sistema. Non voglio minimizzare l’immensa portata di questo cambiamento, dico solo che abbiamo già iniziato il percorso.

Un precedente analogo nel mondo della tecnologia potrebbe essere quello dello smartphone – uno spartiacque che deve il suo successo all’esperienza maturata con altri dispositivi. Se sapevamo cosa era in grado di fare uno smartphone, era solo grazie a personal computer, fotocamere digitali e navigatori portatili. Tutti queste esperienze modulari ci hanno portato a dire: “So che cos’è uno smartphone e sono disposto a investire nell’acquisto e ad assumermi la responsabilità”.

D: Rimanendo sul tema dell’accettazione sociale, può citare altri paralleli storici sull’adozione di nuove tecnologie?
Il puro e semplice cruise control, che ha il compito di mantenere una velocità preimpostata. Quando è stato lanciato sul mercato, la gente non si fidava. E se vogliamo andare ancora più indietro nel tempo, pensiamo alle donne al volante: c’è stata un’epoca in cui una popolazione fortemente sciovinista riteneva poco sicuro che le donne guidassero. In sostanza, che si parli di tecnologia o di cliché sociali, le nostre convinzioni in tema di guida sono già state scardinate più e più volte. Questo non è che un altro cambiamento, solo più radicale.

D: Esistono già tecnologie sul mercato in grado di consolidare il senso di fiducia e di sicurezza che gli automobilisti nutrono nei confronti dei veicoli?
Sì, credo esistano varie soluzioni che possono indicare al settore come esplorare questo nuovo territorio. Pensiamo agli smartphone o ai dispositivi indossabili, i cosiddetti “wearable”: queste due tecnologie stanno alzando notevolmente la posta in gioco. Permettere a servizi di assistenza di vario genere di registrare, monitorare, raccogliere e reperire dati che riguardano noi o le nostre case significa esporsi. Correre rischi. Significa introdurre nuove tecnologie nella nostra “zona di sicurezza” analogica, dove prima eravamo noi ad avere il controllo. Abbiamo sicuramente una lezione da imparare. Quello che stiamo chiedendo ai consumatori di accettare richiede un grande esercizio di fiducia.




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